E' purtroppo tornato recentemente alla ribalta il problema dell'abbandono dei neonati, e lo ha fatto di nuovo con una delle sue forme più ripugnanti: il cassonetto. Di sicuro ognuno di noi si sarà chiesto, in un momento od in un altro, che cosa spinga una donna, una madre, a condannare il proprio figlio alla morte sicura, abbandonandolo tra i rifiuti. E di sicuro, ognuno di noi avrà fallito nel cercare la tanta malvagità che sarebbe necessaria a giustificare un tale atto. Non c'è probabilmente nessuna premeditazione, nessuna spinta omicida, solo una qualche disperazione che alberga nell'inconscio, forse al limitare della malattia. Di sicuro qualcosa così pesante da far sembrare una "soluzione" l'orrore di uccidere un neonato. Il ben pensante e borghese in me, a questo punto, urla "ma più che garantire assistenza per qualunque neonato, nessuna domanda chiesta, cosa dovrebbe fare la società?" Ma poi, torno a pensare a quella donna e a cercare di immedesimarmi. E' forse la vergogna per una qualche macchia, oppure, la paura dell'ostracismo sociale? L'allontanamento dal gruppo per aver compiuto "atti impuri" fa così tanta paura da arrivare a cancellare le "prove della colpa" per cercare di ricominciare da zero? E diventa così inevitabile pensare che, forse, di fronte a queste disgrazie abbiamo un pò fallito tutti. Ma in cosa esattamente? Probabilmente è il meccanismo educativo che governa gli sbagli ad essere proprio lui stesso sbagliato. Perdonatemi se potete l'infantile gioco di parole. 'Sbagliamo', e la nostra mente salta, terrorizzata, alla 'punizione', alla 'espiazione'. E' quanto di meno costruttivo si possa insegnare. Una mente 'efficiente', con un'attitudine 'positiva', dovrebbe saltare subito alla ricerca di una possibile 'correzione', quando si accorge di aver commesso un errore. Non è proprio questa la differenza tra 'bigotto' ed 'illuminato'? Cosa può esserci di così brutto dietro ad un figlio, sia pure illegittimo? Una brutta storia, la povertà, un abbandono, dei famigliari intransigenti? Ognuna di queste cose è sicuramente molto meno grave dell'omicidio di un essere umano. Ognuna di queste cose potrebbe essere affrontata se solo una certa spinta educativa ci aiutasse nella ricerca di una 'soluzione', invece di annegarci nella disperata attesa dell''espiazione'. Ogni grossa tragedia dovrebbe farci piangere e poi farci pensare "Ed adesso come la metto a posto?" E invece, qualche volta cadiamo nella più profonda disperazione, senza la capacità di reagire, al punto da distruggere letteralmente tutto nell'insensata speranza di poter ricominciato da zero. A rischio di sembrare scontato ripeterò che probabilmente nel nostro processo educativo dovremmo rimuovere un pò di bigotta attesa della punizione e magari aggiungere un pò di fondato ottimismo, un pò di 'bicchiere mezzo pieno'. Insegniamolo quel costruttivo approccio alla vita che ti dice che dopo aver sbagliato il meglio che puoi fare è rimboccarti le maniche e mettere a posto, o per lo meno, fare il massimo per rimettere in ordine. Avvolte penso che sia un intera "fetta" di filosofia mancante nella nostra cultura occidentale. In molte culture orientali i bambini studiano e praticano meditazione imparando a vivere nel presente. Questo perché ossessionarsi per il passato significa bruciare inutilmente tra rabbia e falsi giudizi, e angosciarsi per il futuro significa lottare contro mulini al vento che il più delle volte non si materializzano neppure. Infondo, se qualcosa può essere fatto per risolvere il problema, perché preoccuparsi? E, se niente può essere fatto per risolvere il problema perché preoccuparsi?
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