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giovedì 11 ottobre 2007

Siamo tutti un po emigranti


I libri di storia sono pieni delle vicissitudini dei più famosi movimenti migratori. Alcuni crescono e si sviluppano in silenzio all'interno di ambiti nazionali come la "dust bowl migration", resa famosa da un capolavoro di Steinbeck, che negli anni della depressione statunitense portò centinaia di miliardi di contadini dal mild west alla California. Altri esplodono rumorosamente attraversando confini nazionali ed addirittura continentali, come il recente "assalto all'oro" che sta diventando l'ancora di salvezza per cosi tante disastrate popolazioni africane. Ad essere onesti nessuno di noi può esumersi dal contare nel passato della propria famiglia un qualche movimento migratorio. Infondo, la storia della civilizzazione è anche la storia delle migrazioni dell'umanità. Infondo siamo tutti un pò emigranti. In qualche modo i grossi flussi migratori sono sempre generati da un bipolarismo del tipo disastro-speranza. Da una parte abbiamo una spinta spesso consistente in una vera e propria minaccia per la vita di intere popolazioni come povertà, fame, genocidi, etc. dall'altra un catalizzatore di speranze per un futuro migliore o meno pericoloso come il "sogno americano" del secolo scorso o quello europeo corrente. Ed è proprio con questo bipolarismo che nascono i problemi associati in gran parte migratori più grandi. Si perché i possessori di quel "benessere da sogno" sono determinatissimi a difenderlo dall'usurpazione degli emigranti. Negli Stati Uniti immigrare clandestinamente è un reato federale, punito con ben tre anni di carcere. In qualche modo deve essere sfuggito al legislatore a stelle e strisce che per un povero messicano che rischia di morire di fame la "minaccia" di tre anni di vitto e di alloggio pagati in un carcere USA non rappresenta esattamente un efficace deterrente. Ed infatti l'ondata migratoria che colpisce il Sud degli States è più forte che mai.
Ma non è la migrazione in se stessa a rappresentare un pericolo per il benessere della popolazione oggetto del flusso, quanto semmai la serie di possibili eccessi che quasi inevitabilmente si accompagnano a questo tipo di ondata. La migrazione in se e per se è anche un bene, perché, per esempio, facilita enormemente gli scambi fra culture mature. Recenti studi hanno dimostrato come lo sviluppo di comunità separate sia massimizzato da scambi limitati in volume e nel tempo, un pò come accade nel caso di ondate migratorie. Questo tipo di modello risulterebbe essere più efficiente non solo di comunità completamente separate, ma anche addirittura di comunità in costante contatto di tipo "globalizzato". La migrazione in se e per se è sempre un bene, perché, sempre per esempio, risponde nella maggior parte dei casi ad un esubero di posti di lavoro "poveri" disponibili nell'economia ricevente. Al giorno d'oggi in Italia esiste un cronica mancanza di base e di supporto, ed ecco che i Paesi dell'est europeo sono pronti a fornire tale personale. Abbiamo agenzie in Italia che si occupano di reclutare questo personale, istruirlo sia nella lingua italiana che in tecniche ospedaliere, ed aiutarlo con il completo processo di immigrazione. In California sussiste un ancor più cronica mancanza di operatori agricoli per soddisfare le necessità lavorative del "giardino degli USA" ed ecco che prontamente il Messico soddisfa questa necessità di personale, anche temporaneo o stagionale. Negli States e nell'Europa mancano programmatori e disegnatori per rispondere all'esplosiva richiesta di siti sistemi e siti internet ed ecco che l'India, il Sud Africa ed alcuni Paesi dell'est Europeo rispondono più che volentieri a quella necessità. Quello che insomma dovremo combattere non è l'ondata migratoria, bensi la disorganizzazione che nasce intorno a questi movimenti, soprattutto nei momenti in cui essi diventano più grandi tanto da sfuggire ad un controllo sistematico. E' in questi momenti che la crescente disperazione fa nascere i gommoni della speranza, fa straboccare i centri di accoglimento, sino a farli assomigliare al lager, trasforma il migrante da cercatore di lavoro al ricercatore di sopravvivenza disposto al crimine pur di non morire. Siamo tutti stati emigranti, in un momento o un altro della storia, e con questo pensiero in mente dovremmo smetterla di cercare di bloccare qualcosa che è parte dello sviluppo della civiltà, per cercare invece di 'capirlo' e di 'organizzarlo' al massimo in modo da evitare, per quanto possibile, le degenerazioni che sono il vero nemico, nostro e degli emigranti stessi.



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1 commento:

Joe Breads ha detto...

Ciao, sono nuovo. Ho letto la tua storia. Sper tanto che tutto si aggiusti per il meglio.